Ripercorrere il viaggio attraverso tre delle più affascinanti città toscane compiuto da noi adolescenti e giovani significa allo stesso tempo individuare le tappe di un percorso attraverso la Bellezza. L’ unico modo per custodire tale Bellezza, talmente fuggevole, è stato immortalarla; per questo mi è stato possibile ritrovarla attraverso le fotografie scattate durante questi quattro giorni. Questa Bellezza è unica, rarissima, perché costituisce l’unione della singolare bellezza custodita da ciascuno di noi con la bellezza che scaturiva da tutto ciò che di così raro e prezioso ci circondava. Era impossibile non notare che fra noi e l’arte, fra noi e i messaggi che tutte quelle splendide opere trasmettevano, si stava creando un profondo legame. Tale accordo unico e raro può essere reso più esplicito attraverso un percorso a tappe, in cui ogni giorno del nostro viaggio viene associato ad una parola, con lo scopo di motivare il significato della simmetria fra la bellezza di ogni nostra singolarità e la bellezza di una particolare opera o testimonianza che ci ha colpiti.

Il primo giorno abbiamo visitato la città di Arezzo; la nostra attenzione è stata subito catturata dalla particolarità della Pieve di Santa Maria Assunta: all’esterno, sopra il portale, vi erano piccole sculture incastonate ad arco raffiguranti uomini affaccendati in mestieri quotidiani (semina, vendemmia, uccisione di bestie…); in alto invece, lungo la facciata, erano presenti decine di colonne ognuna diversa dall’altra. Se in apparenza tali caratteristiche sembravano rivelare una mancanza di armonia, è stato invece affascinante comprendere come l’armonia più vera dimorasse nella SEMPLICITA’. Gli aretini di un tempo non miravano a proporre raffigurazioni trascendenti o architetture impeccabili: se le colonne diverse l’una dall’altra individuano la volontà di ciascuno di portare un pezzo di sé, della propria singolarità, della propria fantasia, le decorazioni con i lavori dell’uomo, invece, stanno a significare che l’armonia con il Cielo è data proprio dalla Terra, dal lavoro di ogni giorno, perché non vi è alcuna separazione fra la fede e la vita quotidiana, anzi, la fede dimora nelle opere dell’uomo, e le opere dell’uomo trovano fondamento nella fede. La semplicità e l’autenticità dell’uomo di un tempo hanno caratterizzato anche il nostro modo di sentirci in questo primo giorno di viaggio: Chiara, la guida, ci ha esortato a intervenire spesso, proponendo considerazioni e domande, così ciascuno di noi ha potuto portare una parte di sé, della propria sensibilità e singolarità durante la visita ad Arezzo. Per di più, anche il nostro alloggio ci ha aiutati a sperimentare la semplicità: un ostello con grandi camerate e bagni in comune ha richiesto capacità di adattamento e grande spirito di collaborazione. È stata una bella sfida!

Il secondo giorno, a Firenze, abbiamo avuto modo di ammirare, fra le altre cose, la magnificenza del Duomo di Santa Maria del Fiore e del Battistero annesso. La famosa cupola del Brunelleschi affrescata internamente dal Vasari e il mosaico dorato presente nella cupola del Battistero ci hanno chiamati a levare lo SGUARDO VERSO L’ALTO, per ammirare il fascino del complesso del Duomo. Ci ha subito colpiti il fatto che sia il Duomo che il Battistero presentassero pareti spoglie al loro interno, ma mostrassero allo stesso tempo cupole così riccamente ornate: la particolarità sta nel fatto che gli artisti trovassero un profondo significato nel porre in alto le decorazioni più belle, forse proprio perché gli uomini a quel tempo erano più abituati a guardare in alto. Adesso invece ci sembra così strano! Siamo tutti sempre rivolti verso il basso, con gli occhi fissi sullo schermo di uno smartphone. Ebbene, anche noi quel giorno a Firenze abbiamo saputo guardare verso l’alto per ammirare le splendide opere che l’uomo può realizzare se ispirato da Qualcuno di più grande; i nostri occhi erano attenti, contemplanti, in cerca di senso, di bellezza. Al contempo, inoltre, ci è stata data la possibilità trarre ispirazione dalle storie raccontate nel mosaico della cupola del Battistero, i cui protagonisti sono personaggi della Bibbia, fra cui Noè, Giuseppe e Giovanni Battista, che hanno voluto levare per primi lo sguardo verso il Cielo, consapevoli del progetto che Dio aveva in serbo per loro.

Il terzo giorno abbiamo continuato la visita di Firenze. La Bellezza di cui anche noi eravamo parte ci ha portati a scoprire il significato dell’ESSERE CHIESA, dell’ESSERE COMUNITA’. Se nella cappella Brancacci abbiamo potuto ammirare gli affreschi di Masaccio, Masolino e Filippino Lippi raffiguranti i più importanti episodi della vita di Pietro, apostolo fondatore della Chiesa di Roma, nella basilica di San Miniato abbiamo potuto ascoltare una dimostrazione forte di cosa vuol dire essere Chiesa: la vita dei monaci che risiedono nell’abbazia adiacente, infatti, testimonia l’inestimabile valore della scelta di donarsi totalmente al Signore per vivere di preghiera, lavoro e comunione con i fratelli. Anche noi in quella giornata ci siamo sentiti parte della Chiesa, e abbiamo cominciato a comprendere cosa significasse essere comunità; infatti abbiamo percepito sempre meno la distanza fra le due unità pastorali, quella di Induno e quella di Beregazzo, di cui facevano parte altri 18 ragazzi che sono venuti con noi. È stato bello fare una foto tutti insieme, camminare in un unico gruppo, chiacchierare con nuovi amici, e poi la sera giocare in piazza davanti a Santa Maria Novella, senza temere di disturbare qualcuno con le nostre corse, le nostre risate, i nostri canti.

Il quarto ed ultimo giorno ci siamo spostati a Prato. Nella cappella maggiore del Duomo ci siamo fermati ad osservare gli affreschi di Filippo Lippi, che raccontano le storie di santo Stefano e di san Giovanni Battista. Ciò che anche in quest’ultimo giorno ci ha resi parte delle bellezze che ci circondavano è stata la parola TESTIMONIANZA. Santo Stefano, primo martire, quindi primo testimone della fede pronto a donare la propria vita pur di non tradire Cristo, ha intessuto un legame forte con noi. Viene spontaneo chiedersi dunque in cosa consista la nostra testimonianza, e per rispondere a questa domanda vengono in aiuto ancora una volta le fotografie scattate in quella giornata: mai uno sguardo perso, disattento, concentrato su altro, mai un gesto di noia, disappunto, mai un’espressione di rabbia o tristezza, ma solo volti attenti e presenti, sorrisi sinceri e occhi espressivi. È facile rendersi conto che la gioia è dunque la più grande testimonianza di chi torna a casa felice dopo aver vissuto un’esperienza che gli ha colmato il cuore.

Sfidiamo allora chiunque a domandarci di raccontare di questi quattro giorni, di cosa ci sia rimasto impresso e di cosa ci portiamo a casa; se non risponderanno esaustivamente le nostre parole risponderanno meglio i nostri sguardi e i nostri sorrisi, che ci hanno resi parte, ognuno nella propria singolarità, di tutta la Bellezza che ci è stata donata e che abbiamo voluto contemplare.

Folador Chiara