Santa Caterina

La prima citazione di questa chiesa è in occasione della visita del prevosto di Arcisate, nel 1565, che ordinava la messa in opera di porte con catenacci.
Nel 1567 fu visitata dall’arciprete Castano, che la descrisse come un oratorio completo di porte, altare, pavimento, acquasantiera e campana; conteneva una rappresentazione della Passione di Cristo, ma non fu citato nessun riferimento figurativo alla titolata S. Caterina di Alessandria.
La chiesa era utilizzata per comunicare gli infermi e, solo in caso di necessità, per altre celebrazioni.
Nel 1569 risultava di circa 6 x 4 metri e nel 1574, per la visita di San Carlo, era ancora usata in modo saltuario, non consacrata e senza sacrestia, ma abbellita da dipinti e decorosa.
Nel 1581 e nel 1597 si sottolineava ancora il fatto che in questo edificio, ancora privo di sacrestia, non si celebrava quasi mai, anche se nel 1586 vi si faceva “scuola di dottrina”.
Nel 1687 risultava ampliata (8,8 x 4,4 metri) e ristrutturata nelle pareti. C’è effettivamente da chiedersi come mai fosse stata costruita anche questa chiesa alla Motta, quando già vi era la chiesa della Quadronna (XIV secolo), ai margini della frazione, distante solo 250 metri ed alla stessa quota. Sta di fatto, però, che nel 1606 si annotava che benché non fosse neppure adornata di dipinti, la gente la frequentava quotidianamente con devozione e la festa della santa veniva sempre celebrata in modo solenne. Per la chiesa dovevano essere state fatte parecchie elemosine, evidentemente messe a frutto, perché nel 1733 c’era la sacrestia; alla fine del XVIII secolo, quando la frazione della Motta contava 46 famiglie e 275 anime, era diventata un grosso oratorio (9,6 x 4,8 metri) con la volta in cemento, i vetri alle finestre, l’altare in muratura con pitture ed una piccola torre campanaria.
A partire dal 1827 cominciò ad essere usata anche per i consigli comunali e come scuola e nel 1854 come deposito di attrezzature militari, finché nel 1856 il Comune la dichiarò di sua proprietà, in virtù dell’uso fatto, e stanziò dei fondi per il restauro.
Ne seguì una disputa, durata quasi un secolo, tra il Comune, la parrocchia e il responsabile dei lavori Francesco Negri.
Nella seconda metà del XIX secolo, la chiesa di Santa Caterina alla Motta fu ancora usata per il culto, ma all’inizio del XX secolo fu sconsacrata, ospitò i prigionieri cecoslovacchi della Prima Guerra Mondiale, fu usata come deposito e come abitazione di un merciaio, finché nel 1926 Domenico Tiana (proprietario della vicina villa) si propose di acquistare e ristrutturare l’edificio. I lavori furono completati nel 1931, con un restauro radicale, ma senza modificarne la struttura architettonica, con la sola aggiunta di un ponticello per collegare direttamente la villa al soppalco della chiesa.
Infine tra il 1971 ed il 1973 la proprietà della chiesa ritornò alla parrocchia, grazie alla donazione degli eredi Tiana.
Le dimensioni dell’aula sono oggi di 7,7 x 6,1 metri, la cappella trapezoidale è di circa 3 x 3 metri mentre è stato murato l’ingresso dal ponticello al soppalco, che non ha ora scale di accesso fisse.
All’interno l’unica raffigurazione è quella del Matrimonio mistico di Santa Caterina, sopra l’altare, mentre all’esterno, sopra alla porta, c’è la scritta “EXCELSUM EST NOMEN EIUS JSAJ 12” che nell’ultimo restauro ha sostituito quella commemorativa dei precedenti lavori (ANNO DOMINI MDCCLVI COMUNITATI INCOLAE NUBILIUS REPARABANT).
Anche oggi la chiesa, situata in via Francesco Negri all’incrocio con via Mannati e con la pedonale via Fosca, pur essendo in ordine e ben arredata conosce solo un uso saltuario, in occasione della festa della santa, per il presepio di Natale ed in poche altre occasioni.

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